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martedì 21 febbraio 2012

Sesso, amore e Amore

Ciao Shakti, 

grazie per il bel pomeriggio e la bella cena. Stamattina dopo le tue parole sull'amore una porticina si è aperta, almeno nell'intento... nell'amore di cui tu parli c'e' poesia, in quello che ho sempre visto e vissuto c'era dramma e molto abuso sessuale, gli uomini quasi tutti vogliono solo sesso, questo non l'ho detto al satsang, mi è venuto su stamattina, una giovane ragazza cercaamore e trova solo sesso, ma so che con te non è un problema, o forse questa era solo la mia storia... e piuttosto che niente fa quello. Poi la vita continua e la ragazza diventata donna e manipola, almeno non soffre... poi da grande grande, si rilassa, e dice ma tutta sta fatica per un orgasmo ?
So che non è solo cosi, l'incontro avviene, come succede tra due amiche o fra noi tutti insieme, quella è l'unica maniera in cui mi posso aprire. Un abbraccio

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Ciao cara

l'incontro d'amore non può avvenire se c'è la violenza della mente e la mente è violenta. Vuole amore, lo vuole ottenere e per esso è disposta anche a scendere a compromessi, è disposta a dare del sesso per avere amore.

Ecco che inizi a manipolare il tuo corpo pur di avere quell'amore e nel farlo il sesso non diventa più qualcosa di naturale che accade tra i corpi, ma è al servizio dell'ego, della paura. Hai paura di rimanere sola e fai sesso, hai paura di non piacere e fai sesso, hai paura di avere paura e fai sesso. Insomma il sesso diventa uno strumento della paura e non un'espressione del corpo.

L'innamoramento è quel momento in cui vediamo noi stessi nell'altro: il nostro guscio egoico si spezza anche solo per un istante e quella barriera invisibile del "me" che separa il dentro dal fuori cade. Nel suo cadere sentiamo espansione, perché la contrazione del me si rilassa sentiamo gioia, la stessa che sentivamo da bambini per il semplice fatto di vivere.

Quella radianza, quel rilassamento, quella gioia non hanno nulla a che vedere con l'"altro", l'"altro" è solo una scusa in un certo senso! E' la tua gioia che torni a sentire e quel rilassamento, quella radianza vengono dall'aver abbattuto la barriera dell'ego. Solo che la mente rapidamente identifica l'"altro" come la fonte di quella sensazione e quindi rapidamente l'attenzione scivola sulla paura di perdere l'oggetto d'Amore perché se questo accade c'è la credenza che anche la sensazione di gioia andrà via.

Quando questo accade perdiamo con rapidità quella sensazione di benessere e tutta l'attenzione andrà nello sviluppare delle strategie per evitare di sentire il dolore della perdita dell'oggetto d'Amore. Usiamo anche il sesso se necessario e, nel fare questo, lo spogliamo e lo derubiamo della sua spontaneità. Esso non sarà più una occasione per liberare la nostra energia nella naturalezza dell'essere ma andrà al servizio dell'ego.

Quella radianza che sentiamo nell'innamoramento è quello che comunemente chiamiamo amore, ma esso è solo l'aperitivo in un certo senso del vero Amore che è Silenzio, Presenza. Nel vero Amore non c'è nessun bisogno o paura, si condivide sempre e solo il proprio Essere con l'altro, ma nulla è preso o dato. C'è celebrazione, e l'incontro è la scusa per celebrare. Nell'amore emozionale - così come viene inteso - c'è paura di perdere l'oggetto d'amore: quella iniziale apertura viene subito soffocata dalle strategie della mente.

Se la paura di del dolore porta a chiudere il cuore o a ritirarsi dal sesso per paura dell'amore allora è possibile che quella apertura fiorirà in altre condizioni: può accadere nell'incontro con un maestro, ma anche semplicemente in un incontro con amiche e amici, in cui non sia presente la paura di perdere l'amore e quindi c'è rilassamento. Potrebbe avvenire con il nostro animale domestico: sentiamo che il nostro cane e il nostro gatto non ci chiederanno nulla per essere amati. Ci sarà solo Amore condiviso.

Se è possibile restare abbastanza a lungo nella condivisione di quel vero Amore che è la Presenza allora qualcosa accade: la paura dell'altro sparisce, il desiderio del controllo sparisce e resta solo quello che c'è. Se i corpi si attraggano magari accadrà l'alchimia del sesso, ma senza quel gioco di manipolazione tipico della mente.

Aprirsi al vero Amore potrebbe non accadere per forza con un partner: potrebbe accadere guardando qualcosa di bello come un tramonto o un opera d'arte. Bevendo del tè con una amica, oppure andando a spasso con il tuo cane. La Vita stessa è un continuo invito all'Amore che è Presenza e allo stesso tempo assenza di separazione.

Non forzarti se senti che il sesso non ti attrae o ti sembra faticoso: la fatica è quella della strategia egoica. Apriti all'Amore e l'Amore spunterà in ogni angolo della tua vita, fino a riempirla.

Un abbraccio
Shakti

L'Abisso

‎"... mi sento solo davanti ad un abisso buio..." 

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Quel buio è il modo in cui la mente ancora basata sul concetto di ego vede il tuo vero Sè.
Lo vede come buio perché la mente non potrà mai conoscere la sua sorgente. Nel sentire l'avvicinarsi di quell'ignoto che ne determina l'estinzione è ovvio che insorga paura, è la paura della morte. E si sa nella morte siamo sempre soli.

Quella paura però lungi da essere qualcosa di negativo o da evitare, come la mente prospetta in quanto sente la sua stessa fine in essa, è in realtà la nostra stessa radianza, la nostra stessa gioia che è rimasta contratta nel concetto del me. In altre parole, quando l'attenzione si sta per spostare da ciò che crediamo di essere - il me- a ciò che siamo veramente- ciò che siamo sembra un abisso buio che suscita timore, ma se andiamo a toccare quella paura essa si svela per quella che è: gioia.

"Paura" è solo l'etichetta che il "me" pone sulla paura per evitare di sentirla. La paura di per sè è dunque un concetto che se affrontato a livello percettivo si rivela essere una sensazione intensa che cerca di espandersi e se ha il permesso di farlo si trasforma in gioia, in vitalità. La stessa vitalità che avevi da bambino quando ti sentivi eccitato riguardo qualcosa: allora non avevi paura solo eccitazione.

Se ti senti solo davanti ad un abisso buio è qualcosa di molto positivo: significa che quello che sei davvero sta emergendo e quello che pensi di essere sta per cadere. Ciò che sei davvero è sempre mistero e non può essere conosciuto: ecco perché la mente lo teme. Eppure in quel mistero risiede tutta la grazia della Vita, risiede la sua preziosità. Questa esperienza è preziosa perchè non è mai stantia, non può mai essere davvero conosciuto, la si può solo essere e nell'esserla viverla.

Ecco perché quando il senso di separazione cade l'esperienza dlla vita cambia. Essa cambia perché non "pensiamo" più la vita attraverso il concetto del me, bensì la viviamo come esperienza, la sentiamo in modo diretto per quella che è, ovvero un mistero, un'avventura.

Non resta che goderne e per farlo basta essere aperti - se è possibile - a sentire quella paura e quella solitudine. Nell'Uno il me si sente solo, ma se quel sentirsi soli è affrontato si scioglie nell'Amore che non conosce separazione e che quindi è assente del concetto di un "me" e di un "altro". Tutto è Uno.



Shakti Caterina Maggi

lunedì 20 febbraio 2012

giovedì 16 febbraio 2012

Il Cuore del mondo

Cerchi pace, ma continui a proeittare scenari di guerra, prendere una parte invece che un'altra, distinguere tra chi ha ragione e chi ha torto. Solo quando la scena è globale e presa nel suo insieme è possibile cogliere che sia vincitori che vinti, sia vittime che carnefici sono TE.

Tu muori ed uccidi, torturi e sei abusato, rubi e sei depredato. Ogni volta che il cuore si ritira rispetto ad una... parte perde di vista il Tutto, ogni volta una parte di Te viene tradita, torturata, rifiutata.

Soffri perchè non ti cogli nell'Intero, perchè punti il dito contro chi ti tradisce, chi sbaglia, chi non accetta, chi rifiuta. Il gioco degli specchi si interrompe solo dove sei, solo in Te. Quando colui che si specchia è visto non esistere resta solo un gioco di luci e ogni cosa si trasforma in un battito di ciglia.

Per la prima volta forse l'uomo ha la possibilità di usare questa minaccia incombente e prossima di auto-distruzione per volgere quel dito contro se stesso, per abbassare quel dito accusatore verso l'esterno e indicare colui, colei che osserva l'intera scena. Lì, in quella neutralità che osserva negativo e positivo, c'è ciò che vai cercando, lì c'è pace, lì ogni conflitto termina.

Questo è ciò che si intende quando diciamo "riporta tutto nel tuo cuore". Quella neutralità è il Cuore del mondo, è oltre l'amore umano, è ciò che non conosce separazione, dove non esiste un altro. E comincia dove sei tu, adesso in questo momento. Comincia dalla tua incapacità di accettare che l'abuso e il conflitto nascano porprio da te.

Fa male vero? Spezzarsi in vincitori e vinti è doloroso, frantumarsi in abusati e abusatori è fonte di sofferente. Resta con quel dolore se puoi, non muoverti. Non cercare di aggiustarlo, di spostarlo, di rimediare. Se puoi, resta con quel dolore, se puoi lascialo nel tuo cuore. Siediti con esso, lascia che bruci. Lascia si espanda. Se puoi non agirlo nè reprimerlo, restaci insieme, diventa quel dolore.

Quando non resterà che cenere, allora nascerà una nuova pace che non nasce da predere nessuna parte, ma accoglie ogni parte e quindi la supera.

Il mondo è sull'orlo dell'autodistruzione e quel dolore è tuo, è mio, prendilo, accoglilo. Chi lo farà altrimenti per te?  
Shakti Caterina Maggi

martedì 14 febbraio 2012

Folle saggezza

 Foto di Lise Carlson 
"Le illusioni sono per l'anima quello che l'atmosfera è per la terra. Toglietele quella tenera coltre d'aria e vedrete le piante morire, i colori svanire." Virginia Woolf




Ci sono due vie un in certo senso per vedere chi siamo. La prima via è quella del distacco, la seconda quella della compassione. Entrambe portano allo stesso riconoscimento, ma nel loro processo sembrano quasi contraddirsi. 


La via del distacco è la via del saggio. Il saggio non crede a quello che vede, sa che il mondo passa e che il suo passare ne mostra l'intrinseca illusorietà. Come può essere "vero" qualcosa che cambia sempre? E' solo una chimera, un'illusione. Pian piano l'attenzione del saggio si sposta da quello che vede verso ciò che vede tutto questo. I contorni della manifestazione iniziano a dissolversi e tutto acquisisce come un unico sapore. A volte in questo deserto sorge depressione perchè non si coglie più il senso di nessun genere di aspettativa in un mondo che non dà quello che prometteva di dare. 


Alla fine l'ultima cosa che resta da cui distaccarsi è se stessi, quel qualcuno che testimoniava l'andi-rivieni di pensieri e sensazioni, lo scorrere delle stagioni del tempo. Il testimone muore. E allora quello che accade è che in quel distacco totale, alla fine anche da se stessi e dal desiderio di trovare qualcosa di sempre vero, resta solo la Vita. "All'inizio le montagne sono solo montagne, poi le montagne non sono solo montagne. Poi le montagne tornano a essere solo montagne" dice il detto. Muore quel qualcuno che testimonia la Vita e resta solo la Vita con i suoi colori, odori, sapori, contorni vivaci, contraddizioni, successi e fallimenti. Non c'è nessuno che la vive e quindi per la prima volta essa si può esprimere in modo totale. C'è distacco, ma anche compassione, c'è saggezza ma anche amore. 


La via della compassione è la via del folle. Al folle non interessa di comprendere cosa sia sempre vero, perché è innamorato talmente tanto della Vita che ci si tuffa in ogni sua esperienza. Beve e si ubriaca di ogni apparente montagna russa, rincorre quell'apparente andi-rivieni per coglierne il nettare più profondo. Ama fortemente ogni instante e non si risparmia: se gode, gode totalmente, se soffre, soffre totalmente. Il suo cuore si apre alla Vita e la Vita stessa a volte lo riempe di estasi, a volte lo spezza del tutto, lo delude, testa quell'amore in ogni maniera, ma il cuore resta aperto perché il folle puo' solo amare non puo' piu' tirarsi indietro. E' in quella Totalità che si annulla e scompare come individuo separato. E' in quella Totalità che si fonde l'amato con l'amante e resta l'Amore, resta l'Amare. Fiorisce la compassione e da lì nasce saggezza. Muore colui che ama la Vita e resta solo la Vita. 


Quindi che tu voglia essere saggio o folle non importa, che la tua strada sia quella della mente o del cuore, del distacco o della compassione. Non la scegli tu. Sei preso. 


E quando accade quell'essere rapiti, allora c'è sia amore che saggezza, c'è sia il Nulla che il Tutto. Tutto è UNO.


Con simpatia,
Shakti

lunedì 13 febbraio 2012

Uccidi il Buddha


Quando il risveglio a quello che siamo accade il corpo-mente attraversa tutta una serie di trasformazioni che includono un forte fuoco che sembra davvero bruciare anche a livello fisico la forma: bruciano le immagini che abbiamo di noi stessi, le immagini che abbiamo del nostro mondo e delle persone che sentiamo più vicine a noi. Tutto viene sacrificato in quel fuoco, sia quello che amiamo che quello che odiamo, mentre nel secondo caso saremo pronti a lasciare andare nel primo ci saranno delle resistenze. Si tratta di morire a noi stessi, per rinascere ad una vera Vita. Quando muore ciò che non piace celebriamo e ci sentiamo più leggeri, quando muore qualcosa a cui siamo attaccati c’è dolore e poi nella ritrovata libertà di nuovo la stessa leggerezza.

In questo processo incontriamo delle guide che diventano come dei punti di riferimento, delle mappe. La mappa non indica dove si trova il tesoro, ma serve ad avere delle indicazioni. Più siamo chiari e più riusciamo a leggerla meglio, più siamo chiari e più la mappa in un certo senso mostrerà delle indicazioni precise su quello che siamo. Ecco che quando queste indicazioni non sono più abbastanza precise la mappa si aggiorna e mostra indicazioni che sono più corrette e consone al nostro sentire del momento.

Deve arrivare un istante in cui non possiamo più usare nessuna mappa perché nel momento in cui cerchiamo di descrivere o chiediamo descrizioni di quello che stiamo vivendo è come se le parole stesse lo portassero via. Ecco il momento in cui il processo diventa più sottile, si tratta di lasciare andare anche la mappa perché ogni descrizione ci porta via da quello che stiamo vivendo. Le parole hanno dunque esaurito il loro scopo e resta un assorbirle a livello intuitivo. E’ un momento di forte solitudine in un certo senso perché persino le guide che sembravano poterci aiutare e descrivere quello che stava accadendo non possono più davvero essere di aiuto. Qualunque stampella, qualunque mappa DEVE essere lasciata andare per poter riposare in modo costante in questo VEDERE che non presuppone nessun movimento né intellettuale né intuitivo.

Il maestro, la guida deve allora essere vista per quella che è, non come la fonte di questo vedere ma solo come un indicatore. Questo è il significato delle parole “Uccidi il Buddha se lo incontri per strada”. Il Buddha incontrato nel nostro cammino spirituale deve morire come punto di riferimento di questo vedere perché esso non può provenire attraverso una esperienza di seconda mano, non importa quanto siano sottili e chiare quelle parole, ma deve essere vissuto e visto là dove siamo.

Gettare via quella mappa laddove c’è stata una guida in forma umana, un maestro, non è facile anche se  l’attaccamento ad esso sarà inevitabilmente un ostacolo che DEVE essere superato perché questo vedere sia completo. Ecco allora che sarà la Vita stessa a portarci via quell’attaccamento: uno dei modi di solito in cui questo accade è attraverso un senso di delusione che si può sentire verso quella forma che chiamiamo maestro a causa di sue parole o gesti che non sono più in sintonia con il nostro sentire. Non importa se la forma stessa dica di non essere un maestro o non voglia essere considerata come tale, quell’attaccamento è in un certo senso fisiologico e inevitabile laddove ci sia stato un processo di arrendersi alla Vita accaduto attraverso una guida. Ma se ci attacchiamo alla mappa non è possibile scoprire che noi siamo il tesoro stesso.

Non c’è nulla che dobbiamo fare per interrompere quell’attaccamento, è un processo che avviene assolutamente da solo. Se avviene che sentiamo una delusione perché le parole che ci vengono dette non corrispondono più al nostro sentire arriva il momento in cui è necessario onorare se stessi. Altrimenti daremo più valore a quello che un’apparente altro dice rispetto a quello che noi vediamo dove siamo, ed è SOLO se onoriamo quello che vediamo laddove noi siamo che questo riconoscimento può avvenire.

E’ fondamentale dunque che quell’onorarsi avvenga, anche se questo significa sacrificare – per così dire – il nostro attaccamento alle nostre guide. Solo se il Buddha viene ucciso esteriormente è possibile permettere a quelle stesse parole che sono state condivise con noi di diventare una parte integrante e viva della nostra quotidianeità.

Il prezzo da pagare – per così dire – è quello di sentire un senso di solitudine. Siamo soli a quel punto, perché persino “Dio” per così dire ci ha abbandonati. E quando anche questo accade, quando anche “Dio” è morto, è possibile allora vedere che ogni cosa che abbiamo incontrato sul nostro cammino – ogni evento, situazione o persona – erano solo il riflesso della nostra comprensione di noi stessi. Tutto deve sparire in questo riconoscimento e quando lo fa tutto riappare nella sua vera luce, ovvero come una manifestazione di noi stessi. NOI eravamo quel maestro che ci indicava la via, NOI abbiamo disegnato la mappa e i suoi apparenti ostacoli. Tutto è UNO.
Con amore
Shakti 

domenica 12 febbraio 2012

Attraversare la paura

Di solito fuggiamo la paura, cerchiamo in ogni modo di fugarla attraverso strategemmi e strategie, che ci portano solo a rimandare il momento in cui dovremo comunque confrontarci con essa.

La paura e' di fatto solo una sensazione di cui non siamo mai l'oggetto, ma sempre e solo i testimoni. Essa e' la nostra stessa radianza che da bambini veniva emanata in modo multidimensionale dalla forma: era Coscienza pura non ancora identificata nella forma. Quando il concetto di ego, ovvero l'idea di essere qualcuno DENTRO il corpo che e' autore delle azioni dei pensieri e delle sensazioni della forma,  ha iniziato a essere intrattenuto attraverso il condizionamento, questa stessa energia ha iniziato a creare come dei "nodi" che hanno finito per esse presi come la nostra reale identita'. Laddove una azione avveniva prima in modo del tutto spontaneo senza che ne fossimo idealmente gli autori o i soggetti - e quindi fluiva in modo naturale senza lascia tracce o residui - il concetto di ego ha iniziato a trattenere parte dell'energia di quelle azioni con l'idea che esse appartenessero ad un qualcuno che le aveva compiute. Ecco la radice del senso di colpa, della vergogna, del biasimo e di tutte quelle emozioni che nascono dall'idea di essere gli autori di quello che accade.

Ora, la radice di tutte queste emozioni che rappresentano tutta la nosta sofferenza psicologica e' il concetto di essere qualcuno di separato che vive all interno del corpo mente, oppure nell idea di essere il corpo stesso. Questa idea E' paura stessa, perche' la' dove c'e' separazione c'e' paura. L' "altro", inteso nel senso piu' ampio, esiste se esiste paura, ed essa e' la nostra stessa radianza, la nostra stessa gioia che viene come ingabbiata dal concetto di persona, ovvero dall'ego. Ecco perche' quando e' possibile restare presenti a quella stessa sensazione di paura senza ne' esprimerla ne' reprimerla o sfuggirne essa torna ad essere quella che originariamente era, ovvero la nostra stessa Gioia di esistere. Quella gioia, quella radianza attraverso il concetto di ego e le storie della mente che lo circondano, e' rimasta contratta per anni e ed e' proprio questa paura che ci da' la sensazione di essere "dentro" al corpo.

Quando invece e' possibile, per qualunque motivo, che quella paura sia sentita a livello percettivo - quindi non pensata o analizzata- allora nell'attraversarla essa tornera' a irradiarsi come quando accadeva da bambini, sentiremo un grande sollievo e poi silenzio. Di solito pero facciamo di tutto per non sentire quella paura, incluso cercare di analizzarla a livello concettuale, attraverso quelle storie che ci dicono il "perche'" sentiamo quella paura. Se invece e' possibile sentire la paura essa si dissolvera' e al suo posto ci sara' un senso di liberta' e di gioia.

Quello che accade nei cosiddetti attacchi di panico e' che per qualche motivo quella contrazione di paura che chiamiamo la nostra personalita' va in crisi: le ragioni di solito non sono assolutamente psicologiche infatti chi ne soffre e' spaventato perche' spesso riesce davvero ad individuarne le cause. Azioni o situazioni che erano del tutto quotidiane o normali inziano a provocarer anche solo al pensiero un incredibile senso di ansia. Quel che in realta' accade il piu' delle volte e' che inconsapevolmente per un attimo l'attenzione e' distolta da questo nucleo immagonario del "me" e torna anche solo per un istante sulla Consapevolezza vuota che testimonia la scena. Lo scenario che vede lo scatenarsi di questi epidodi puo' esse vario, per esempio uno spazio ampio, oppure un tunnel etc e la mente addurra' sempre tali circostanze come origine e causa della paura, quando invece non e' assolutamente cosi'.

E' del tutto inutile andare a cercare nelle circostanze che causano il primo evento la motivazione di quell'ansia, in realta' quelle circostanze sono solo accidentali: per un momento l'energia torna a circolare nel corpo e scatena tutta una serie di sintomi come un senso di morte imminente (il "me" sta infatti morendo), tachicardia, mal di testa, dolori etc. In pratica quella radianza che una volta era multidimensionalmente irradiata dalla forma torna a scorrere nel corpo e nel farlo letteralmente "sbatte" contro questi nodi energetici che abbiamo finito per credere siano la nostra stessa identita'.

Quando questo avviene questi nodi che costituiscono il "me", la nostra falsa identita', iniziano a dissolversi. Questo processo pero' comporta di sentire quell'energia intensa che chiamiamo paura e che e' cio di cui sono costituiti questi nodi stessi: sentirli e percepirli significa dissolversi e liberarsi, ma anche affrontare a livello percettivo queste paura. La paura piu' profonda che abbiamo che sta alla base di tutte le altre e' la paura della morte: questa angoscia fortissima di smettere di esistere deve esse sentita a livello percettivo o altrimenti se solo teorizzata rimane qualcosa di puramente psicologico che non ha un reale effetto liberatorio. Una volta che l'informazione giusta, che e' sentire la paura e quindi attraversarla andandoci oltre, e' stata recepita, allora la mente e' stata informata di tutto quello che era necessario conoscere: a quel punto non serve altro in quanto sara' la vita stessa a predisporre il momento attraverso cui qui nodi verranno di nuovo percepiti e sara' possibile andare oltre la paura.

Il cosidettto attacco di panico e' una opportunita' in questo senso per andare oltre la paura, esso accade in modo molto intenso e immediato: quando l'informazione giusta di quale sia la strada per la liberazione e' stata recepita a livello intellettuale e intuitivo a quel punto in un certo senso non e' piu' necessario che quelle stesse sensazioni siano attraversate in modo diciamo "drammatico", ma e' possibile che siano percepite con una modalita' piu' fluida e con meno resistenze e quindi in modo meno doloroso.

Non c'e' nulla che tu debba fare, l'informazione corretta e' stata data adesso lascia che sia la Vita stessa a portarti verso quella pace che riposa dietro ogni paura, che ne testimonia l'insorgere e il dissolversi.

Shakti

martedì 7 febbraio 2012

Nulla da trovare

"Il mio primo discepolo era così debole che è stato ucciso dagli esercizi.
il secondo è diventato matto perchè metteva troppa energia nella pratica della meditazione.
il terzo è diventato completamente ebete a causa della contemplazione.
il quarto è ancora del tutto normale".
"Come mai?"
"Si è sempre rifiutato di fare gli esercizi"
 Taisen Deshimaru

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La mente oscilla sempre tra fare e non fare, non conosce mai il rilassamento, perché è sempre tesa a fare qualcosa. Anche “fare” il non fare... Ecco che allora il circo spirituale si riempie di “trovatori”, di ricercatori che sono impegnati a "non cercare" o a credere di aver trovato qualcosa. Come se fosse possibile trovare il Nulla! In un mondo che cambia continuamente solo il Nulla non cambia mai quindi è sempre vero, quindi è Verità. E per definizione come si potrebbe trovare il Nulla? E chi potrebbe trovarlo, anche se lo facesse egli resterebbe di mezzo e quindi non potrebbe essere davvero colto :-).

Ecco il grande dilemma del ricercatore, che si trova nella situazione paradossale di non poter smettere di cercare anche quando a livello concettuale è chiaro che essa sia inutile. Non si puo’ smettere di cercare fino a che la ricerca non si è esaurita, ovvero fino a che non si riposa come quel “non fare”, come e in quanto quel Nulla, non a livello concettuale, ma perché è riconosciuto intuitivamente che quel Nulla è il nostro vero Io. “Io” è SEMPRE presente al dispiegarsi di qualunque attività mentale, sensazione o azione fisica, inclusa quell’attività che chiamiamo ricerca spirituale.

Quando la ricerca finisce non lo fa per atto da parte del ricercatore spirituale, ma perché quel Nulla stesso coglie se stesso in modo diretto, si percepisce direttamente come ciò che veniva cercato nel mondo delle forme. In quel momento si vede che non si era ciò che si pensava di essere, non si era un ricercatore di Verità, ma una Verità alla ricerca di se stessa, anche se persa nel gioco di credere di essere un ricercatore.

Anche qualora questa ricerca non sia conscia (ovvero non ci sia una ricerca conscia di Verità) essa accade comunque: si cerca quella permanenza, quella pace in ogni cosa, alcuni la cercano nel lavoro, altri nell’amore emozionale o nelle relazioni, altri in sostanze e droghe. Quella ricerca è inevitabile laddove la Verità stessa abbia perso il contatto con se stessa e si sia vista come quella permanenza che sta dietro ogni cosa.

Quindi se ti è chiaro che “non fare” è la via, non potrai comunque percorrerla, ma la ricerca potrebbe passare da essere a un livello concettuale ad un livello percettivo. Ovvero, nel vedere che non puoi fare niente per trovarti sorgerà una frustrazione, la quale porterà il ricercatore stesso a bruciarsi in quella fiamma spirituale. Più si vedrà che niente può essere fatto e più quella fiamma sarà ardente.

Di solito però in questi frangenti potrebbe sorgere accanto alla frustrazione un profondo senso di depressione perché tutta l’energia una volta indirizzata alla ricerca sarebbe a quel punto disponibile per consumare il senso stesso del cercare e un profondo senso di impotenza e inutilità verranno.

Se queste sensazioni possono essere esperite senza essere rifiutate e senza andare in una nuova storia mentale, allora il ricercatore stesso morirà, il senso di separazione si arrenderà non fatalisticamente ma a dispetto di se stesso in un lasciare andare che non è dell’individuo, ma accade per virtù della Vita stessa.

Quella resa finale non è compiuta da qualcuno: accade quando c’è maturità ovvero quando ogni strada è stata vista come inutile e non c’è più neppure resistenza a sentire quella frustrazione.

Quando quella resa avviene essa accade e ci pensa la Vita stessa a renderla possibile, attraverso il semplice dispiegarsi della Vita.

Non resta dunque che godersi – se possibile – il momento, inclusa la ricerca.
                                                                                                                   Shakti Caterina Maggi

Oltre il dolore e il piacere

"Però c'è pure il dolore fisico....difficile astenersi dal dolore fisico. che ne pensi di questo?"
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Non si tratta di astenersi da niente. Il dolore accade, semplicemente, al corpo. Il dolore è una sensazione intensa e laddove ci sia l'idea che qualcuno stia sentendo quel dolore allora ci sarà la sofferenza del dolore. Quella sofferenza è evitabile perché nasce da un concetto sbagliato - l'idea di essere qualcuno - mentre il dolore è parte della vita.

Il punto non è evitare il dolore, per farlo dovresti evitare anche il piacere: essi esistono nell'apparente dualità come una unica polarità. Il dolore è solo una esperienza: se esso viene rifiutato si cercerà il piacere e viceversa.

Nella dinamica rifiuto-attaccamento di dolore e piacere si dispiega la sofferenza. In altre parole, soffre chi cerca il piacere e soffre chi rifiuta il dolore.

Se l'attenzione riposa nel luogo da cui nasce l'attenzione stessa, ovvero sulla Consapevolezza allora entrambe le esperienze di dolore e piacere sono solo testimoniate in quanto tali, ma manca la "storia" legata a quel piacere e a quel dolore, la storia di un "me" che ha raggiunto il piacere ( con la paura di poterlo perdere) e la storia di un "me" che è nel dolore (e vorrebbe fuggirne). Ecco perché il Buddha pare avesse detto "Anche la tua felicità è sofferenza".

La storia del "me" che sente dolore o piacere equivale alla nostra incapacità di restare presenti alla sensazione anche fisica del piacere o del dolore. Il piacere totale spaventa il "me" così come il dolore totale, in quanto in quella totalità il senso di separazione è dissolto.

E' il reclamare l'esperienza da parte del concetto di ego che ne riduce la portata percettiva dell'esperienza: parte di essa sarà usata dall'ego che è un vero e proprio parassita (il "metote" come veniva chiamato dalla cultura Tolteca).

Quando quel dolore, attraverso le esperienze della Vita, è sentito il modo totale esso conterrà in sè quasi un piacere, una specie di dolcezza; mentre quando quel piacere è sentito in modo totale esso conterrà in sè una specie di malinconia dolorosa e struggente. Di solito non facciamo esperienze totali, ma quando accade la mente basata sul senso di separazione va in tilt: nella totalità l'ego non riesce più a mantenere una distinzione netta tra le due in quanto entrambe si fondono nell'Uno.

Tu sei sempre quella neutralità che osserva entrambi i lati del pendolo della Vita, positivo e negativo, maschile e femminile, piacere e dolore... Riposare in quella neutralità è la chiave della liberazione.
 


Shakti Caterina Maggi

venerdì 3 febbraio 2012

Salute, il silenzio del corpo

Shakti ti ho fatto questa domanda perché studiando naturopatia ho dovuto leggere testi scientifici di varia natura e leggendo della medicina quantistica vedi bruce lipton... tutti gli scienziati, i neo endocrinologi e via dicendo mettono in risalto la forza della mente nel rapporto malattia benessere. Quindi avvolte una malattia sul piano fisico può essere preceduta da uno stato mentale negativo e quello stato negativo può far insorgere la malattia e peggiorarla... ora se non siamo co-creatori ma siamo attraversati dalla creazione, è un'illusione il credere che ci sia una volontà che decide autonomamente di autodistruggersi o di rigenerarsi?


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Ciao caro,

sii chiaro innanzitutto su un punto: se i pensieri non sono personali, a chi appartiene quello stato mentale negativo? E’ ovvio che se quella negatività o contrazioni sono presenti, esse non saranno di beneficio al corpo e il loro perdurare attraverso l’attaccamento e identificazione finirà per produrre anche una malattia nel corpo fisico. Ma neppure l’attaccamento a tali pensieri non è personale! A chi appartiene l’ego? 

Vedi la mente spirituale adora l’idea di essere in controllo di quello che accade, inclusa la possibilità di dissolvere malattie e disturbi attraverso un “lavoro su di sé”. In realtà l’identificazione a pensieri e sensazioni, che in sé è tutto ciò di cui l’ego è costituito, si basa tutto su quest’unico concetto di essere un qualcuno, solo un’idea, un pensiero che a loro volta non sono di nessuno! TU non hai un ego, ma il concetto di ego accade in TE, VUOTA CONSAPEVOLEZZA. 

E’ la Consapevolezza stessa che è ignorante di sé e che si identifica con questo pensiero di essere una persona, un pensiero molto radicato che è stato instillato fin dall’infanzia quando la Consapevolezza stessa attraverso la forma viveva dall’Uno ma in modo innocente, quindi non conscio di Sé. Ecco perché la ricerca compiuta dal presupposto di essere un ricercatore non può portare da nessuna parte… come potrebbe? Quel qualcuno che dovrebbe arrivare alla fine della ricerca e uccidere l’ego NON ESISTE. 

Questo riconoscimento quindi non accade in virtù di quello che l’immaginaria persona fa, né alla mente o al corpo, in quanto un’idea non può fare assolutamente nulla. Quindi, la corrispondenza tra contrazione egoica e disturbo fisico esiste, ma essa non viene cambiata da un qualcuno che non è che un’idea , né appartiene dunque a nessuno. 

Non c’è dunque neanche nessuno che si distrugga o si ricrei, queste sono solo pensieri che nascono dall’idea che esista una volontà individuale, laddove invece esiste solo la Vita. Non esiste una volontà indipendente, è tutto una espressione di un unico Sé che attraverso alcune forme si conosce e attraverso altre no, attraverso alcune si risveglia e altre solo al momento della morte del corpo ma non prima. 

Non accade per merito – visto che non c’è nessuno – potresti essere la persona più spiritualmente ligia della terra e non vedere chi sei fino alla morte (il corpo-mente si disgrega e quindi anche l’identificazione), oppure potresti essere una persona totalmente immersa nel materialismo e BUM! Il risveglio avviene. Non ci sono segni esteriori della corpo fisico che mostrano questo risveglio, non c’è assolutamente NIENTE che l’ego possa fare per preparare questo evento eppure la Vita stessa fa questa preparazione e questo è molto chiaro nel momento in cui il risveglio avviene che tutto quello che è accaduto fino a quel momento, incluse le malattie per esempio così come le guarigioni, sono accadute al servizio di questo risveglio. 

Malattia è un processo dunque che non appartiene a nessuno, accade alla forma che è di per sé ancora una volta un processo, un flusso di informazioni. Maestri come Ramana o Nisargadatta sono morti di cancro, di chi era quell’energia di contrazione o malattia? La Vita stessa li provocava attraverso quella forma e sebbene il corpo fosse nel dolore il Sé attraverso quella forma non lo era, c’era solo Testimonianza del dolore. 

La storia del “me” che è malato o che sta guarendo in realtà è una contrazione in sé che non fa che rallentare il processo di guarigione: ecco perché un bambino piccolo come ti diranno tutti i medici ha più chance di guarire in modo quasi miracoloso da malattie gravi o in incidenti. Non c’è una storia dietro che rallenta quel processo energetico che è la malattia. Questo potrebbe divenire così chiaro che sarebbe ovvio alla fine che in un certo senso la malattia non esiste: essa è solo un’etichetta mentale posta su un processo energetico, è in un certo la “storia” di quel processo. 

Mi sembra che fosse proprio Hannemann, il padre dell’omeopatia, che parlava di “silenzio degli organi” come stato di salute. La malattia è dunque una frequenza “stonata” in quel silenzio che cerca di tornare al silenzio stesso. Se è possibile testimoniarla in quanto tale e non nutrirla attraverso la preoccupazione essa può tornare a casa da sola senza ulteriori passaggi creati da una mente che vuole interferire.

Se il tuo interesse è quello del corpo e della sua salute lascia che questa tua passione si esprima a partire dalla gioia per l’essere sani che equivale a essere VUOTI, in quanto il Vuoto è la vera salute, l’interezza. Se quello è il tuo punto di partenza, e non la lotta alle malattie, allora qualunque azione accada attraverso la tua forma come operatore di salute non potrà che di essere di beneficio per il corpo stesso.


Non si tratta di non curare il corpo, ma di vedere che non c'è nessuno che sia malato.

Nessuno muore, nessuno nasce, la vita stessa si esprime come un canto nel Silenzio del tuo Essere.
Shakti Caterina Maggi

L'ego, l'unica malattia

Visto che si parla di medicina quantistica se possiamo immaginare una medicina advatica?

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La maggior parte la malattia è causata da uno squilibrio della psiche. I modelli psicologici basati sul concetto ego creano energia che si muove in modo confuso. Quando è chiaro ciò che si è, allora questi modelli cominciano riequilibrarsi e armonizzarsi, tuttavia questo potrebbe richiedere una vita intera, così se ci si attende una perfetta salute del corpo uno potrebbe restare in attesa per molto tempo 

La malattia non è più vista nel modo in cui era vista una volta, non la si combatte, e non c'è una proiezione di una condizione "migliore" del corpo rispetto a ieri o domani. C'è molta più accettazione e tolleranza al dolore etc, in questo modo quindi si potrebbe dire che il VEDERE di ciò che si è cambia la Gestalt a livello psicologico, cosa che poi dà, ovviamente, un modo totalmente diverso di vivere la malattia e la sua accettazione.

La medicina sembra muoversi nella giusta direzione con particolare attenzione alle frequenze e spostarsi lontano da prodotti chimici. Anche in queste direzioni più avanzate si ritiene che una percentuale enorme di ciò che viene utilizzato come metodo è placebo. Si potrebbe presto rendersi conto che TUTTO è placebo e che la malattia non deve esistere affatto. Ho visto le malattie che sono scomparse che potrei solo definire miracoloso. Un minuto erano presenti e il prossimo SPARITE!

La vera e propria malattia che io vedo da affrontare è il confondere ciò che si è per ciò che non siamo. E ' per questo motivo non ho perseguito la guarigione del corpo / mente. La vera guarigione vista da questa realizzazione è la guarigione di questa percezione del nostro Sé.
Avasa

giovedì 2 febbraio 2012

Creare come Essere

Ho letto che Avasa dice che non siamo co-creatori.
Perché?
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Non esiste co-creazione, perché esiste solo un unico CREARE. Non c’è un qualcuno, o più di un qualcuno che crei, perché la manifestazione che vediamo intorno a noi, quello che chiamiamo realtà esteriore, non è il frutto di un atto di volontà di un essere supremo, né il risultato collettivo di più co-creatori.

Quella che chiamiamo realtà è una espressione del nostro stesso ESSERE non di un fare di un qualcuno o di più qualcuno. TU SEI QUELLO CHE VEDI, sei tutto quello che appare non solo ATTRAVERSO e IN QUANTO quella che chiami la tua forma, ma come ogni essere vivente o meno e come ciò che si esprime attraverso ogni cosa.

Se quella chiamiamo realtà E’ la tua coscienza dove c’è spazio per l’agire o per un creatore che crei, né tanto meno per un co-creatore? La tua natura fondamentale è Silenzio, Nulla, Vuoto. L’intero universo è la risposta alla domanda “Chi sono Io?”, il domandarsi e il rispondersi si dispiegano come quello che appare come Vita. Ecco perché ogni situazione della tua apparente separata esistenza è una opportunità per vedere chi sei, non importa quanto disastrata o perfetta appaia la tua vita, essa è lì come espressione del modo in cui ti conosci.

Quando accade quel cogliersi in ciò che appare, quando quel senso illusorio di distanza è abbattuto, allora non c’è più dentro e fuori, piove perché sei triste, c’è la guerra perché ti senti in conflitto, tutto tace la notte perché stai per addormentarti.

Non c’è un “me” che crei, la creazione è l’espressione del tuo vero Io vuoto e consapevole che si cerca. Quando il trovarsi accade, non è trovato NULLA e nessuno resta neppure che abbia trovato quel nulla. Resta solo la Vita stessa che si dispiega di momento in momento senza nessun motivo, come espressione di quell’Io sono. Non accade per te o per me, non accade per il tuo personale risveglio neppure. Accade e basta e quando ciò che la testimonia e la crea si ritrova in essa allora quel Soggetto ultimo si fonde in ciò che è creato e resta solo CREARE. 


"Non c'è creatore, quindi come potrebbe esserci un co-creatore... c'è solo il creare che accade. il saggi che hai letto è chiaro su questo, non c'è creatore o creato, solo creare. Il "co" proviene dall'illusione della separazione".  Avasa

mercoledì 1 febbraio 2012

Me + Te= Uno


Di cosa consiste in realtà la Vita? Non parlo delle nostre cosiddette vite private e personali, ma della Vita nel suo insieme.
Perché tu o io possiamo fare esperienza della Vita ci devono essere due cose presenti, una esperienza e un qualcosa che fa esperienza. A dispetto di cosa sia esperito, sia esso negativo o positivo, queste apparenti due cose devono esserci, senza di esse non ci sarebbe esperienza.

Ciò che dovrebbe esserci chiaro, eppure per qualche ragione non lo è, è che facciamo esperienza del nostro corpo alla stessa maniera in cui facciamo esperienza di qualunque altro oggetto, come una cosa. In qualche modo ci siamo un po’ confusi a livello di identità con l’esperienza e abbiamo perso di vista ciò che fa esperienza e notiamo appena questo fatto. Reclamo che il corpo sia ciò che sono quando in effetti questa non è la mia esperienza di prima mano. La mia esperienza di prima mano è che “io”, qualunque cosa essa sia, non è il corpo, ma ciò che conosce il corpo in quanto esperienza.

Io faccio esperienza del mondo, di cui il mio corpo è una parte, e quindi ovviamente sono ciò che fa esperienza eppure in qualche modo sono caduto in caso di “scambio di persona” e reclamo di essere il corpo, che è invece una mia esperienza come ciò che sono. Se reclamo che questo sia vero, sto reclamando di essere un oggetto così come ogni altra cosa nel mondo è un oggetto. Eppure è chiaro che l’oggetto non è ciò che fa l’esperienza, ma l’esperienza stessa. TUTTA l’esperienza del mio mondo, incluso il mio corpo, è ESPERITA e tutte queste cose sono esperite da un qualcosa che ne fa esperienza.

Quindi se il corpo non è ciò che “Io” sono, allora “Io” deve essere parte di qualcosa di diverso dal corpo, qualcosa che in sé è assente di ogni esperienza. Come soggetto di ogni esperienza oggettiva - e tutta l’esperienza E’ oggettiva - “Io” deve essere il soggetto e come questo “Io” soggettivo non posso essere in me stesso un oggetto. Io non sono l’oggetto e quindi non posso essere io stesso un’esperienza, ma l’assenza di una esperienza. Come assenza dell’esperienza sono una non-esperienza che può prendere la forma di ogni esperienza della Vita, del mio mondo. 

Questo deve essere vero di ogni essere umano. Noi, ognuno di noi, mentre appare come un oggetto separato, è in realtà la non-esperienza che fa esperienza del mondo attraverso la forma umana, che è in sé una parte della nostra esperienza. Noi quindi non siamo il corpo in sé.

Il corpo è uno strumento per fare esperienza dell’esperienza umana. Senza di esso “Io” non potrei fare esperienza d’Amore, di gioia, di tristezza, di dolore, di simpatia per gli apparenti altri o potrei fare alcuna altra esperienza che costituisce l’esperienza umana. Questo incredibile e complesso veicolo che è l’”Io”, la non-esperienza, ha bisogno per poter fare esperienza della Vita di questo oggetto che per errore è stato chiamato “Io”.

“Io” non sono più questo corpo di quanto la mia auto sia “Io” quando mi dimentico che è il corpo che la guida. “Io” sono ciò che appare dentro il corpo come una non-esperienza. In qualche modo questo fatto molto ovvio è stato ignorato, cosa strana visto che dovrebbe invece essere la più ovvia.  

Se mi cerco come questa non-esperienza, questo “Io”, cosa trovo? Di certo non una esperienza! Infatti nulla, o piuttosto un niente una non-cosa, DEVE essere trovato. Vedo che sono assente dell’essere un qualcosa. “Io” non sono una sensazione o un sapore o un odore o un colore o una forma, cose attraverso cui si possono descrivere gli oggetti, ma sono l’assenza di tali cose. Sono una sorta di presenza in cui “Io” sa in qualche modo di essere presente, ma come cosa? Non ne ho idea, non posso descriverlo, eppure è ovvio che questo che non ha descrizione, ma è consapevole di sé, è ciò che sono, io sono Nulla.

Quindi deve essere lo stesso per tutte le forme umane, questa non-esperienza che vive attraverso la forma esperita e che fa esperienza del mondo. Se questo è il caso, allora è così! Questo è il luogo in cui incontro pienamente gli altri perché qui IO SONO gli apparenti altri, Questo è “Io” e “Io” dell’apparente altro è lo stesso Io.  
Nel vedere me STESSO come “Io” vedo che tutti gli altri sono lo stesso “Io”. Quindi sebbene la mia esperienza esteriore del mondo sia che è piena di ALTRE persone, la mia esperienza interiore è che tutti gli ALTRI non sono altro che me Stesso. Siamo tutti lo stesso Sé, UN UNICO SE’, il proprio vero Sé è SE STESSI!

Tutti i miei immaginari problemi con gli “altri” sono basati su una identificazione errata. Quindi i miei cosiddetti problemi personali sono basati su questa idea che se fossi un limitato essere umano all’interno di un corpo, quando invece la Verità è che “Io” è in tutti i corpi, io sono illimitato. Tutti gli esseri umani sono quindi questo. Il problema del conflitto, della guerra, dell’odio e di tutte le attività basate sul senso di separazione con gli immaginari altri si dissolvono qui nella realizzazione di questo “NOI”, che in sé è un’illusione, sono tutti “Io”, tutti lo stesso Sé che funziona attraverso ogni forma.

Tutti i problemi dell’umanità sono basati su questo preconcetto sbagliato di separazione, questa identificazione scorretta di se stessi. E’ tutto basato su un caso di “scambio di identità”.

L’unico modo quindi per risolvere TUTTI I problemi sia personali che i problemi di TUTTA l’umanità in tutto il mondo è vedere con chiarezza ciò che “Io” è. Quando so che sono te e tu sei Io, che siamo tutti “Io” finalmente l’Amore è ciò che è vero di noi. Quando l’azione davvero sorge dal riconoscimento conscio di questo Amore tutta l’azione servirà sia se stessi che il Sé.

La realizzazione e il risveglio di ciò che siamo è la risposta a TUTTI i problemi dell’umanità.
Tu sei l’esperienza o CIO’ che fa l’esperienza? Guarda da te perché solo tu sei l’autorità di formulare la risposta. E’ ciò che chiamiamo Io una cosa o quel consapevole nulla che sta leggendo queste parole ATTRAVERSO  il corpo?

Se vedi questo con chiarezza allora hai appena realizzato che ciò che hai letto è il tuo proprio messaggio per te stesso. Bentornato a casa, al luogo che non hai mai lasciato!!! 
               Avasa



“Meno consapevoli  di quello di cui dovremmo essere più certi,
la nostra essenza trasparente come vetro”.
                                                                 William Shakespeare