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lunedì 13 febbraio 2012

Uccidi il Buddha


Quando il risveglio a quello che siamo accade il corpo-mente attraversa tutta una serie di trasformazioni che includono un forte fuoco che sembra davvero bruciare anche a livello fisico la forma: bruciano le immagini che abbiamo di noi stessi, le immagini che abbiamo del nostro mondo e delle persone che sentiamo più vicine a noi. Tutto viene sacrificato in quel fuoco, sia quello che amiamo che quello che odiamo, mentre nel secondo caso saremo pronti a lasciare andare nel primo ci saranno delle resistenze. Si tratta di morire a noi stessi, per rinascere ad una vera Vita. Quando muore ciò che non piace celebriamo e ci sentiamo più leggeri, quando muore qualcosa a cui siamo attaccati c’è dolore e poi nella ritrovata libertà di nuovo la stessa leggerezza.

In questo processo incontriamo delle guide che diventano come dei punti di riferimento, delle mappe. La mappa non indica dove si trova il tesoro, ma serve ad avere delle indicazioni. Più siamo chiari e più riusciamo a leggerla meglio, più siamo chiari e più la mappa in un certo senso mostrerà delle indicazioni precise su quello che siamo. Ecco che quando queste indicazioni non sono più abbastanza precise la mappa si aggiorna e mostra indicazioni che sono più corrette e consone al nostro sentire del momento.

Deve arrivare un istante in cui non possiamo più usare nessuna mappa perché nel momento in cui cerchiamo di descrivere o chiediamo descrizioni di quello che stiamo vivendo è come se le parole stesse lo portassero via. Ecco il momento in cui il processo diventa più sottile, si tratta di lasciare andare anche la mappa perché ogni descrizione ci porta via da quello che stiamo vivendo. Le parole hanno dunque esaurito il loro scopo e resta un assorbirle a livello intuitivo. E’ un momento di forte solitudine in un certo senso perché persino le guide che sembravano poterci aiutare e descrivere quello che stava accadendo non possono più davvero essere di aiuto. Qualunque stampella, qualunque mappa DEVE essere lasciata andare per poter riposare in modo costante in questo VEDERE che non presuppone nessun movimento né intellettuale né intuitivo.

Il maestro, la guida deve allora essere vista per quella che è, non come la fonte di questo vedere ma solo come un indicatore. Questo è il significato delle parole “Uccidi il Buddha se lo incontri per strada”. Il Buddha incontrato nel nostro cammino spirituale deve morire come punto di riferimento di questo vedere perché esso non può provenire attraverso una esperienza di seconda mano, non importa quanto siano sottili e chiare quelle parole, ma deve essere vissuto e visto là dove siamo.

Gettare via quella mappa laddove c’è stata una guida in forma umana, un maestro, non è facile anche se  l’attaccamento ad esso sarà inevitabilmente un ostacolo che DEVE essere superato perché questo vedere sia completo. Ecco allora che sarà la Vita stessa a portarci via quell’attaccamento: uno dei modi di solito in cui questo accade è attraverso un senso di delusione che si può sentire verso quella forma che chiamiamo maestro a causa di sue parole o gesti che non sono più in sintonia con il nostro sentire. Non importa se la forma stessa dica di non essere un maestro o non voglia essere considerata come tale, quell’attaccamento è in un certo senso fisiologico e inevitabile laddove ci sia stato un processo di arrendersi alla Vita accaduto attraverso una guida. Ma se ci attacchiamo alla mappa non è possibile scoprire che noi siamo il tesoro stesso.

Non c’è nulla che dobbiamo fare per interrompere quell’attaccamento, è un processo che avviene assolutamente da solo. Se avviene che sentiamo una delusione perché le parole che ci vengono dette non corrispondono più al nostro sentire arriva il momento in cui è necessario onorare se stessi. Altrimenti daremo più valore a quello che un’apparente altro dice rispetto a quello che noi vediamo dove siamo, ed è SOLO se onoriamo quello che vediamo laddove noi siamo che questo riconoscimento può avvenire.

E’ fondamentale dunque che quell’onorarsi avvenga, anche se questo significa sacrificare – per così dire – il nostro attaccamento alle nostre guide. Solo se il Buddha viene ucciso esteriormente è possibile permettere a quelle stesse parole che sono state condivise con noi di diventare una parte integrante e viva della nostra quotidianeità.

Il prezzo da pagare – per così dire – è quello di sentire un senso di solitudine. Siamo soli a quel punto, perché persino “Dio” per così dire ci ha abbandonati. E quando anche questo accade, quando anche “Dio” è morto, è possibile allora vedere che ogni cosa che abbiamo incontrato sul nostro cammino – ogni evento, situazione o persona – erano solo il riflesso della nostra comprensione di noi stessi. Tutto deve sparire in questo riconoscimento e quando lo fa tutto riappare nella sua vera luce, ovvero come una manifestazione di noi stessi. NOI eravamo quel maestro che ci indicava la via, NOI abbiamo disegnato la mappa e i suoi apparenti ostacoli. Tutto è UNO.
Con amore
Shakti 

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