Gentile Shakti, per molti anni ho letto molto sulla spiritualita', ero per cosi dire un "ricercatore"..poi visitando questo spazio, e dopo aver letto "io sono quello" di Nisargadatta, mi sono convinto, e guardandomi indietro ho visto che tutto cio' che facevo, tipo meditazioni, yoga ecc, erano solo sforzi inutili che difatti talvolta addirittura mi innervosivano.Il cercatore cerca se stesso. Ma allora quale dovrebbe essere il nostro giusto atteggiamento?
Grazie se mi vorra' rispondere.
Arriva un momento in cui l'interesse nella ricerca cade da solo e ci si trova come di nuovo solo a che fare con la nostra quotidineità, i nostri incontri giornalieri, la nostra famiglia o il nostro lavoro... sembra quasi che l'interesse nella ricerca sia del tutto sopito.
Non ci interessano più risveglio o illuminazione, magari abbiamo anche compreso intelletualmente a cosa si riferiscono e in qualche maniera sentiamo che non riusciamo ad applicarli del tutto nella nostra vita. Ecco che accade, per cosi dire, una rinuncia alla pratica, alle tecniche o ai metodi che sembravano promettere qualcosa: un risveglio, un cambiamento. Magari in parte la nostra vita è più pacifica, o almeno ci siamo pacificati in qualche modo con le nostre debolezze.
Ma la spinta a cercare sembra esaurita e potremmo persino quasi sentirci in colpa per questo, ma non possiamo fare altro che constatare che questo è il modo in cui stanno le cose. In realtà direi che questo è il vero inizio della nostra vita spirituale. Quando non siamo noi a voler condurre le redini del gioco, quando non siamo noi che vogliamo risvegliarci e portare la nostra comprensione ad un livello più alto, allora non resta semplicemente che il vivere quotidiano, con tutte le nostre idiosincrasie, apparenti difetti, omissioni, persino piccole o grandi ipocrisie.
C'è un detto molto bello: "All'inizio le montagne sono solo montagne. Poi le montagne non sono più solo montagne. Poi ci sono solo montagne".
Dopo che comprendiamo che quella che chiamiamo realtà non è altro che un gioco dello spirito deve venire un momento in cui caliamo questa comprensione nella nostra quotidianeità, e improvvisamente " le montagne sono solo montagne". A volte potrebbe essere un periodo quasi di confusione, come se gli interessi del passato fossero svaniti. Ma in realtà la comprensione viene incarnata nel vivere quotidiano, in cui non ci sono molte parole, è qualcosa di sottile che ci conduce a ESSERE quello che stavamo cercando... non ci interessa più capirlo, o concettualizzarlo, le parole vanno sullo sfondo e restiamo piuttosto incantati dal ronzare di un'ape su un fiore, la polvere che danza al sole o in gnere a tutti quei piccoli momenti della giornata in cui non c'è una storia di un "me" che si sta risvegliando o che sta attraversando qualche processo, ma c'è solo davvero la Vita che accade. Stiamo divetando in quei momenti quelllo che abbiamo compreso e nell'esserlo non abbiamo bisogno di ricordarcelo.
Se la ricerca accade non c'è nulla che possiamo fare per fermarla essa è espressione di una inqueitudine presente perchè non siamo connessi a livello percettivo con la nostra vera natura. Laddove gli sforzi del "me" che cerca cadono resta la Vita che ci conduce alla risposta in modo sottile, a volte anche con una frase letta casualmente in un libro o in una pagina su internet o semplicemente contemplando lo scorrere quotidiano dei giorni.
Questo risveglio non avviene attraverso uno sforzo cosciente del "me": è un invito che l'Esistenza stessa ci porge e in esso siamo letteralmente presi, anche qualora pensiamo che non ci interessi più o che ne abbiamo avuto abbastanza del circo spirituale e delle sue continue richieste di perfezionamento. Nell'accogliere quel disturbo sottile che permane in ogni nostra azione quotidiana senza più la forza di agirlo per cambiarlo quell'impulso di ricerca si spegne e quello che resta è la risposta, ovvero quello che eravamo da sempre, ma da sempre ignoravamo catturati da un processo di divenire qualocsa... persino divenire illuminati.
Non si tratta di fare nulla, o di fare il non fare nulla, nè di avere l'atteggiamento giusto... questa esperienza che si chiama vita non finisce con la vincita alla lotteria del risveglio, è qui solo per essere vissuta in tutta la sua preziosa precarietà. Capire questo significa a mio avviso davvero cogliere il senso del vivere, ovvero gioirne senza chiedere nulla, senza volerlo trasformare in qualcos'altro, di più sacro più prezioso. Lo spirito fatto carne è questo momento: tra il viverlo e il cercare di viverlo resta la differenza tra inferno e paradiso.
di nuovo, un augurio di una buona giornata
Shakti
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